Numero 17: Alice

R: Ciao Alice! Ti andrebbe di presentarti brevemente usando tre aggettivi che ti rappresentano e dirci anche il perché? 

A: Il primo che mi viene in mente è sicuramente curiosa, non ho una passione in generale, mi appassiono un po’ a tutto, e se qualcuno mi parla in modo entusiasta di qualcosa ha la mia completa attenzione. Il mio range d’interesse, grazie alla mia curiosità, spazia in diversi ambiti.  La seconda caratteristica che mi è venuta in mente è “umorale”: un po’ come nella Grande Bellezza con la citazione famosissima “Non mi va più di fare le cose che non mi va di fare”, ecco quindi se mi trovo con persone che non mi vanno particolarmente a genio ultimamente faccio molta fatica a non farlo vedere.  Dall’altra parte penso anche di essere una persona molto affettuosa. Ho riscoperto questo lato di me da qualche tempo, mi piace prendermi cura delle persone che amo e farmi sentire, far sentire il mio supporto, la mia presenza nel momento in cui dovessero averne bisogno.  A dire la verità ho già risposto a questa domanda 5 anni fa, e mi definii come astratta. Al tempo non sapevo ancora cosa scegliere, ero appena uscita dall’università, mi sentivo ancora sognatrice e idealistica. Poi col tempo l’idealismo si è trasformato in cinismo, ho imparato a conoscermi meglio, mi sono messa in gioco, ho incontrato tante persone e quindi eccoci qui oggi. 

R: Come pensi ti descriverebbero gli altri invece, usando sempre tre aggettivi? 

A: Il primo che mi viene in mente è Estroversa, e dalla chiacchiera facile. Più o meno in ogni situazione in cui mi trovo riesco sempre ad attaccare bottone e conversare con diverse tipologie di persone che mi trovo di fronte. Credo sia la caratteristica che emerge in modo più “prepotente” di me. Il secondo è probabilmente un po’ “egoica”, non me la sentivo di mettere solo aggettivi positivi, non mi sembrava corretto (ride). Non dico narcisista, perché mi piace parlare delle mie sensazioni e parlare molto di me, a volte prendo un po’ la situazione in mano, la manipolo un po’, ecco. La terza caratteristica ho pensato a “fidata”. Mi sento affettuosa, come ho detto prima, e spero che le persone che mi stanno attorno a cui voglio bene si rendano conto che sono una persona su cui possono contare, sempre.   

R: Ok Alice, di cosa ti occupi nella vita?

A: Mi occupo di risorse umane, con particolare focus sulla ricerca e selezione. Mi piacerebbe pero ultimamente ampliare gli orizzonti. Sempre nel settore delle risorse umane. Vorrei spaziare e provarmi anche in altri ambiti. Per esempio mi vorrei avvicinare un po’ all’employer branding, alla formazione, oppure allo user design. 

R: Dove lavori attualmente? 

A: Attualmente lavoro per Jobby, una startup, si occupa di intermediazione tra domande e offerte di lavoro all’interno della gig economy, dei “lavoretti”, se vogliamo chiamarli così in italiano (ride), io come Hr mi occupo di progettare e gestire tutto il processo di home boarding. In parole povere: da come farli arrivare sulla nostra App, a scoprire chi sono, aiutarli a completare il loro profilo, scoprire cosa fanno e indirizzarli su quelle che sono le offerte che fanno al caso loro. 

R: Ti piace quello che fai? 

A: Si, moltissimo. Davvero moltissimo. Ho scoperto il mio amore per l’Hr durante un master che feci dopo la laurea triennale. In questo momento specifico, quest’esperienza è veramente totalizzante, ho sposato il progetto al 100%: è un progetto italiano e secondo me è di grandissimo valore. 

R: Scorrendo il tuo profilo mi sono reso conto che negli anni hai cambiato moltissime acconciature, tagli e colore dei capelli. Cosa pensi del cambiamento?

A: Mi piace moltissimo che tu abbia fatto il collegamento tra cambiamento e i miei capelli perché a dire la verità è una grandissima metafora. Per me il pensiero volto al cambiamento è praticamente sistematico, ogni giorno penso a cosa vorrei e cosa dovrei cambiare nella mia vita. Qualche anno fa quando cominciai a giocare con i miei capelli facendo colori e tagli anche abbastanza drastici che facevo più o meno una volta al mese, per me era un esercizio al cambiamento costante. Mi ricordo quello che mi dicevo: non volevo mai abituarmi alla condizione attuale, quindi non volevo neanche abituarmi al riflesso di me stessa nello specchio. Devo dire che cambiare drasticamente i capelli, soprattutto per una ragazza, è qualcosa di davvero impattante. Ogni mattina sei diversa, non ti abitui mai al tuo aspetto, è un po’ come se lo dovessi sempre cambiare. Cambiando il tuo aspetto cambia anche l’immagine che restituisci agli altri e che gli altri restituiscono a te e quindi è un gioco di specchi molto stimolante e ammetto… anche divertente! (ride). Una cosa molto particolare è che ho cambiato talmente tante volte aspetto che per esempio nei sogni non ho un’immagine definita di me stessa.

R: E cosa diresti a chi invece, a differenza tua, non ama il cambiamento? 

A: In primis gli renderei nota una teoria filosofica interessantissima sull’origine della coscienza che ci dice che la credenza di essere o avere un IO costante nel tempo è solamente un’illusione autoconservativa della coscienza. In realtà quindi la reticenza al non cambiamento e la tendenza a non voler cambiare è una mera illusione, perché è impossibile. Banalmente, non ci sarà mai un giorno uguale ad un altro che hai già vissuto, di conseguenza non ci saranno mai gli stessi pensieri e io credo fermamente che il modo di pensare cambi il comportamento. Quindi in realtà la persona che è reticente al cambiamento sta già cambiando e non lo sa! 

R: Sei soddisfatta del tuo percorso universitario e professionale? 

  A: Allora, si, da una parte sono molto soddisfatta perché sono rimasta molto coerente con quelli che erano i miei obiettivi nel momento in cui sono entrata in questo settore. Io ero molto decisa a non voler entrare in una grande multinazionale, non volevo diventare parte di un meccanismo, ma volevo trovare un ruolo che fosse molto compartecipe del progetto stesso e soprattutto in cui il mio impegno si potesse trasformare in qualcosa di reale e tangibile. E questo è quello che succede in una startup, soprattutto nel mio caso, che credo al 100% al progetto su cui lavoriamo.  Al momento a dire la verità mi trovi, però, in un momento di transizione, una relazione complicata diciamo, perché dall’altra parte non sono pienamente soddisfatta; speravo di crescere un po’ di più professionalmente, ma da questo punto di vista sono rimasta un po’ ferma. Però insomma, sicuramente ho imparato tanto e questo mi sarà utile nel futuro.

R: Ho visto che sei un’appassionata di videogames e che trasmetti su twitch in live, da dove nasce questa passione? 

A: Molto banalmente credo che nasca dal fatto che da quando ero piccola dentro casa abbiamo avuto un sacco di console, mi ci sono potuta approcciare fin da bambina. Un ricordo bellissimo che lego ai videogiochi è il fatto che la sera invece che guardare un film, c’era mia madre che giocava a Tomb Raider e io, mio papà e mio fratello intorno lei che la guardavamo giocare. Questo ha sicuramente influito parecchio nel farmi approcciare ai videogiochi. Twitch si basa proprio su questo, sulla comunità, un gruppo di amici davanti allo stesso schermo, fai il tifo per l’altro e lo aiuti e condividi il suo divertimento.

R: Dall’esplosione dei gamers su YouTube e su Twitch, i giocatori professionisti sono arrivati a guadagnare cifre astronomiche. Cosa ne pensi? 

A: In generale non posso che apprezzare i gamer professionisti, mi sento un po’ la loro madre, mi riempie d’orgoglio. Per me i videogiochi sono una forma d’arte, quindi il fatto che stiano ricevendo tutta quest’attenzione con poi la relativa remunerazione dei gamers effettivamente mi affascina moltissimo. Dall’altra parte mi fa anche fare una riflessione: al momento sono così pagati perché dietro ci sono sponsor giganteschi che hanno capito cosa sta succedendo, che è un fenomeno che muove folle e denari in maniera decisamente abnorme, e so che quesiti gamers fanno turni lavorativi che, a dire la verità, per qualsiasi altro lavoro sono indecenti. Quindi diciamo che questa mano un po’ invisibile del capitalismo mi affascina un po’ meno, però è anche vero che è un settore che si sta costruendo oggi, anche da un punto di vista legislativo. Sono sicura che si troveranno piano piano le giuste modalità! Di base però… è una FIGATA PAZZESCA (risata)!

R: Ho notato un tuo post su Instagram che mi ha particolarmente incuriosito: “Sei una persona reale? Scegli un’opzione”. Al giorno d’oggi, intorno al concetto di identità virtuale è presente un acceso dibattito etico. Come vivi la tua identità virtuale? 

A: La mia identità virtuale la vivo in maniera molto parziale e contestuale. Ti faccio un esempio: a seconda del social network sappiamo che dobbiamo “comportarci in un certo modo”. Io so che su LinkedIn dovrò valorizzare determinate caratteristiche come so perfettamente che ne devo escludere altre. Così anche Instagram e Facebook e tutti gli alter ego che mi creo nei videogiochi. Nel caso di Monster Hunter sei un cacciatore di mostri, in Red Dead Redemption sono una cowgirl mezza ubriaca, insomma tutti gli alter ego sono me, ma nessuno lo è completamente. A volte mi sono fatta stuzzicare dall’idea di costruire un profilo Instagram dove sono totalmente me, senza veli, dove condivido tutto, per cercare un po’ di riempire lo iato tra virtuale e reale. Oggi in realtà molti teorici filosofi parlano non più di offline e online ma addirittura di OnLife. Non si può più fare una reale differenza.

R: Cosa consiglieresti alle persone che vogliono intraprendere il tuo stesso percorso? 

A: Ci ho pensato ultimamente perché lo chiedo anche a me stessa. Se dovessi dire quello che mi ha guidato direi che un po’ sicuramente come dicevo prima, la curiosità e l’entusiasmo per le cose diverse. Mi ha fatto avvicinare al digital, ed è un mondo che va ad un’altra velocità che trovo ispirante. Queste ispirazioni spesso vengono da cose che non c’entrano nulla con il tuo ambiente naturale e ti fanno spesso pensare in modo diverso, creano connessioni inedite che ti fanno riflettere in modo diverso su ciò su cui lavori e l’obiettivo che vuoi raggiungere. Oggi oltretutto per fare HR, le competenze digital sono fondamentali! Sono strumenti che usiamo in modo preponderante.

R: Quale Numero Primo pensi ti rappresenti di più e perché? 

A: Partiamo dal presupposto che odio i numeri dispari e tranne il due sono tutti dispari! Però c’è il 17, e il 17 è un numero a me molto caro. Me lo sono anche tatuato. Per me è un memento mori, il 17 porta sfortuna perché in numeri romani si scrive XVII il cui anagramma è VIXI, che è il passato remoto del tempo vivere. Quindi praticante il passato remoto indica un’azione finita del tempo: per loro significa che sei “morto”. Io l’ho ri-significato, come memento mori, essere consapevole della propria solitudine per dare valore e significato alla propria esistenza.

 

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