Numero 7: Martina

R: Ciao Martina! Diventare doppiatrice richiede anni di studio e sacrificio immagino. Come hai iniziato questa tua carriera?

M: Ho iniziato quando ero molto piccola, se ricordo bene avevo 8 anni. Mio padre trovò dal suo parrucchiere il biglietto da visita di una scuola di recitazione e doppiaggio. Onestamente non sapevamo bene cosa fosse e come funzionasse il mondo del doppiaggio, ma ci interessava la parte dedicata alla recitazione. Andai allora alla lezione di prova con una mia carissima amica e ricordo che ci fecero doppiare alcune scene di Harry Potter e la pietra filosofale. Mi innamorai immediatamente di tutto e decisi di iscrivermi al corso. Purtroppo, dopo appena due anni, dovetti sospendere gli studi, ma nel 2011 mi iscrissi di nuovo nella stessa scuola. Il percorso di studi durava 3 anni e proprio nel 2014 feci il mio primo provino per una telenovela (Eva Luna) e iniziai a doppiare il piccolo Adriano. Nel 2015 iniziai a lavorare anche a Milano, città che ora è diventata la mia seconda casa. Ora, dopo cinque anni, sono una pendolare a tutti gli effetti e continuo a spostarmi per lavoro tra gli studi di Torino e di Milano.

R: Ci sono stati dei momenti difficili in cui hai pensato di mollare?

M: Non ho mai pensato di mollare, non l’ho mai voluto. Ricordo, però, che ci sono stati dei momenti che mi hanno messa un po’ alla prova. Ho iniziato a lavorare tra il quarto e il quinto anno di Liceo e alcuni insegnanti credevano che se mi fossi dedicata solo allo studio avrei potuto avere dei risultati migliori e perciò più volte mi hanno suggerito di lasciar perdere il doppiaggio e tutti i viaggi Torino-Milano che mi portavano via ore di studio a casa. Ma non avrei mai potuto lasciare quello che amavo e che mi apparteneva davvero per portarmi a casa un voto in più in una materia. Promisi a me stessa che piuttosto avrei fatto il doppio della fatica, ma al doppiaggio non avrei rinunciato. Mi sono diplomata con 74/100 e intanto iniziavo a lavorare negli studi di Milano. Fu un’enorme soddisfazione della quale vado fiera.  

R: La tua voce è così pulita e duttile, hai lavorato tanto sulla dizione?

M: Vi ringrazio. Certo, la dizione sta alla base di tutto e per questa professione è essenziale. Lo studio della dizione non è semplice, soprattutto all’inizio, perché è pieno di regole e di eccezioni. Una volta costruita la nostra ce la si porta dietro per sempre e non si smette mai di imparare qualcosa di nuovo. Per rendere più duttile la propria voce, invece, è bellissimo giocarci, sperimentare, allenarla con esercizi mirati. Con il tempo vi renderete conto di riuscire a raggiungere note a cui prima non pensavate di poter arrivare e scoprirete note che non credevate neppure di avere. Imparare divertendosi è la chiave.

R: Abbiamo visto che nonostante la giovanissima età hai interpretato numerosi personaggi. In quale di loro Martina si è sentita più “a casa”? 

M: Fortunatamente ho interpretato diversi ruoli e sono grata a chi negli anni mi ha dato fiducia mi ha dato la possibilità di crescere professionalmente. I personaggi con cui mi sono sentita più “a casa” son due, e probabilmente lo sono perché rappresentano due parti di me. Mi riferisco ad Alyssa (Jessica Barden) in The End Of The F***ing World e Romy Ehrlinger (Désirée von Delft) in Tempesta d’amore. Sono due personaggi molto diversi tra di loro, ma ritrovo qualcosa di me in entrambe. Una è testarda, non si arrende mai. L’altra è paziente e altruista. Subito dopo avere iniziato a doppiarle, le ho sentite “mie” e questo ha reso il lavoro estremamente piacevole e appagante.

R: Quando interpreti un personaggio, riesci a restare distaccata o inizi ad avere la sua visione del mondo?

M: Il lavoro del doppiatore prevede proprio di entrare nei panni del personaggio che si sta interpretando perciò è estremamente importante “diventare” quella persona il più velocemente possibile anche se quello che è o che rappresenta è distante da chi siamo noi realmente. Il distacco avviene solo alla fine, quando il lavoro è terminato. Ci sono delle volte, però, in cui qualcosa che abbiamo detto o che abbiamo visto ci tocca particolarmente e perciò succede di uscire dallo studio portandosi con sé anche una parte di chi siamo stati nelle ore precedenti. 

R: In questo caso, Alyssa, cosa penserebbe di Martina? 

M: Penserebbe che sono una che pensa troppo, che perde tempo a immaginare tutti gli scenari possibili prima di prendere una decisione e che a volte, invece, bisognerebbe agire di impulso, seguire l’istinto e rischiare anche di fare la cosa sbagliata, proprio come farebbe lei.

R: Terminiamo con la domanda di rito, di chiusura, tipica del nostro giornale: quale numero primo ti rappresenta e perché?

M: Non ci avevo mai pensato, ma è sicuramente il numero 7 perché in famiglia è un numero che si ripete spesso: io e mio fratello abbiamo sette anni di differenza così come mia madre e mio padre e i miei zii. Inoltre è contenuto nel giorno della mia nascita, il 27 ed è un numero che mi è sempre piaciuto.

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