Numero 101: Francesco

Intervista a Francesco, estroso fumettista che vuole fare Superman.

R: Ciao Francesco! Iniziamo conoscendoci un po’. Se dovessi scegliere 3 aggettivi per descriverti quali sceglieresti? 

Direi di cominciare da “creativo”, che è il più facile. Non so se faccio il mio lavoro perché sono creati-vo o se lo sono diventato, a furia di dover trovare soluzioni rapide a problemi complessi come può essere lo scegliere l’inquadratura giusta, ma lo sono e immagino che questo sia ciò che conta. O almeno, credevo di esserlo fino a quando non ho dovuto pensare a tre aggettivi che mi descrivessero. Dovendo scegliere, mi descriverei un tipo dinamico. Ho bisogno di stimoli costanti, di non limitarmi mai a un solo lavoro o a una sola attività. Anche qui, non ho idea del perché. Se fossi un personaggio scritto da uno sceneggiatore mediocre, probabilmente mi descriverebbe in costante fuga da qualche demone interiore. Non mi piace starmene fermo e sono abbastanza insofferente di fronte alla lentezza degli altri, sia che si tratti di passeggiate o di esplorazioni di luoghi abbandonati, sia che si parli di carriera o di studio. Allo stesso tempo, non mi piace lasciare gli altri indietro. Qual è un buon contrario di “sintetico”? Qualunque sia, direi che va bene. La mia relatrice lo mise a parole nella maniera migliore, quando, a un esame, mi disse che io sarei la rappresentazione vivente del detto “una curva è il modo più elegante di congiungere due punti”, al termine di una mia risposta durata una ventina di minuti. La tendenza a chiacchierare, a riempire i vuoti e l’incapacità di tagliare per lasciali, quei buchi, sono caratteristiche mie e del mio lavoro (in quel caso, sono probabilmente anche difetti). Immagino che il mediocre sceneggiatore di prima potrebbe trovare un pattern tra questo e il mio bisogno di essere in costante movimento.

R: Bene. E se dovessi invece chiedere a qualcuno che ti conosce? Quali userebbe?

Teatrale. Lo uso come ombrello per tutta una serie di altri termini che vanno da “drama queen” a “sopra le righe” a “over the top” e che mi sono stati affibbiati negli anni. Le stesse persone che me li hanno detti mi hanno sempre garantito che sono da intendere come complimenti, ma non so se fi-darmi. Di sicuro è vero che mi piace stare al centro dell’attenzione e, be’, sì, essere teatrale. “Ambizioso” credo sia un altro buon termine ombrello che racchiude, in un bel pacco regalo, tutta una serie di altri termini, che vanno da “sicuro di sé” a “egocentrico” o “megalomane” (e che sono tutti, a modo loro, calzanti). “Ambizioso” è comunque il più adatto, considerato che la mia sete di potere e i miei piani di conquista globale sono abbastanza intensi da rendermi praticamente impossibile nasconderli, come ho appena dimostrato. Rispondendo mi sto lentamente rendendo conto che, se fossimo in un fumetto, sarei il classico villain anni ’50 che, quando si trova sul punto di vincere, comincia a fare qualche lungo monologo all’eroe in trappola, per spiegargli come lo ha sconfitto, finendo per dare allo stesso eroe l’occasione di rovinare i suoi piani. Il terzo aggettivo è di nuovo il più facile ed è, ovviamente, “creativo”.

R: Guardando il tuo profilo spicca immediatamente la tua grandissima dote: il disegno. quando hai cominciato a disegnare? E perché?

Be’, dipende da cosa si intende quando si parla di disegno. Ho sempre disegnato e non ricordo un momento della mia vita in cui io non lo abbia fatto. Mi capita di parlare con persone che mi dicono “eh, anche io disegnavo una volta, ma sono anni che non lo rifaccio” e mi fa sempre un certo effetto, perché per me è inconcepibile stare senza disegnare, lo faccio anche mentre sto facendo altro. Non sono neanche sicuro ci sia un perché e comunque, se c’è, non è una motivazione esplicita o un preciso intento comunicativo. Disegno perché è una cosa che mi viene naturale fare come respirare. Se però parliamo di un disegno più consapevole, portato avanti con un’idea di crescita attraverso un percorso di costante miglioramento, ecco, quello è più recente ed è cominciato quando ho compiuto 18 anni. Per quel compleanno mia madre commise il gravissimo errore di iscrivermi a un corso esti-vo in una scuola di fumetto e lì imparai che quello che avevo fatto fino a quel momento poteva esse-re canalizzato in qualcosa di disciplinato e che, soprattutto, con ‘sti scarabocchi e mostri ci si poteva anche vivere.

R: Come si svolge la giornata lavorativa di un fumettista?

Come quella di qualunque freelancer: si manda il portfolio in giro se non si ha un lavoro in corso, si guarda Netflix e si gioca se manca più di una settimana alla consegna o ci si incatena al tavolo giorno e notte a lavorare, se alla consegna manca meno di una settimana. Il tutto aromatizzato con abbondanti dosi di caffè. Più seriamente, in realtà una delle cose più difficili che ci si trova a dover imparare da subito è la gestione della giornata. Se non hai un cartellino da timbrare è facile battere la fiacca, ma è altrettanto facile farsi trascinare e trovarsi a lavorare fino a orari inumani, che sia perché si è presi particolar-mente dal disegno o perché si è pressati dalle imposizioni folli di clienti e editori. È un lavoro dove si è poco tutelati (anche se ci stiamo lavorando). Anticipo la domanda successiva, dicendo che prima si capisce che bisogna fissare dei limiti (ad esempio non più di 8 ore di lavoro al giorno), meglio è per sé stessi, per la propria salute mentale e fisica e per i rapporti con gli altri. Se smetti di vivere per lavorare, che lavori a fare?

R: Cosa consiglieresti a chi come te vuole intraprendere questo tipo di percorso?

Non limitare mai la propria istruzione solamente alle scuole di fumetto. Sono utilissime, ma non danno abbastanza strumenti, da sole, per sviluppare un certo pensiero critico e riuscire a tenere i piedi per terra quando si entra nel mondo del lavoro. Avere una chiara idea di come funzionino tasse, con-tratti, quali siano i propri diritti e non aver mai paura di pretendere che essi vengano rispettati sono parti fondamentali della vita di un freelancer e lo sono ancora di più per un fumettista. Allo stesso modo, è essenziale cercare di mantenere gli occhi aperti e rimanere aggiornati su tutte le possibilità che il mercato del lavoro ha da offrire. Si esce dalle scuole di fumetto con il mito della pubblicazione in testa e si è abituati a pensare che quello sia l’unico modo per cominciare a lavorare e che venir pubblicati sia di per sé un successo. Lavorare per una casa editrice che ti paga all’ora quanto viene pagato chi raccoglie pomodori nei campi non è l’unico modo per guadagnare con il di-segno. Esistono un’infinità di possibilità lavorative con aziende e istituzioni, così come esistono un’infinità di software, programmi e applicazioni che permettono di applicare il disegno e la creatività in maniera diversa. Un* buon* fumettista è anche qualcuno che sa mantenere la mente aperta e spaziare. Ah, preparati a una vita di frustrazione: disegnare vuol dire crescere sempre, senza avere mai un punto di arrivo preciso. Questo vuol dire che, se lo stai facendo nel modo giusto, attraverserai spesso fasi in cui sarai dolorosamente consapevole dei tuoi limiti. Così come attraverserai momenti in cui farai quelli che a te sembreranno salti qualitativi impressionanti e che saranno totalmente invisibili agli altri. Gipi ha detto in un’intervista di sapere già che morirà insoddisfatto e con la consapevolezza di non essere bravo quanto vorrebbe. Infine, se lavori con la pubblica amministrazione, firma sempre il contratto prima di iniziare a lavorare e assicurati che gli ordini di pagamento partano per tempo, o ti ritroverai a aspettare una vita per un bonifico (e c’è gente che così è finita in bancarotta).

R: L’arrivo del digitale sta sicuramente cambiando il mondo in cui viviamo. In qualche modo anche il tuo lavoro è influenzato? Se sì, come?

Ah, assolutamente sì. Come accennavo prima, il semplice numero di nuovi software è tale da richiedere diversi anni, se ci si volesse mettere a studiarli tutti. Ci sono programmi di digital painting, di scultura 3d, di animazione. Programmi che offrono modelli anatomici dettagliati da mettere nella po-sa che si vuole per copiarli, programmi che costruiscono griglie prospettiche al posto tuo. È un mondo così vasto e con così tante possibilità che non c’è un unico percorso da intraprendere. Ogni disegnatore sviluppa un suo flusso di lavoro personale sperimentando passaggi e strumenti diversi. È una cosa che io trovo allo stesso tempo meravigliosa e terrificante, come può esserlo solo l’essere liberi di poter scegliere la strada che si vuole tra un numero infinito. Una parte di me vorrebbe dire che è comunque essenziale partire imparando i fondamenti del disegno a mano libera senza “barare” con l’aiuto della tecnologia. Credo però che sia il mio lato boomer a parlare. Siamo arrivati a un punto in cui, per gestualità, tecniche e possibilità, il digitale è da considerarsi un medium totalmente diverso dal disegno a mano libera, al punto che, per alcuni concept artist, il disegno vero e proprio non è più parte integrante del loro flusso di lavoro. Se le cose stanno così, a che serve passare prima dalle vecchie matite e fogli di carta? Ciò che conta, alla fine, è se il lavoro finale piace, le tecniche usate per arrivare a quel risultato vengono dopo.

R: Qual è il grande sogno di un fumettista? E qual è il tuo?

Diventare famoso e vedere centinaia di fan e lettori in fila per un autografo. Tutti i fumettisti sono dei megalomani egocentrici con manie di protagonismo.

R: E qual è il tuo?

Diventare famoso e vedere centinaia di fan e lettori in fila per un autografo. Sono un megalomane egocentrico con manie di protagonismo. Ma mi piacerebbe tanto disegnare almeno una storia di Superman e poi passare il resto della vita disegnando mostri e dinosauri.

R: Sicuramente il disegno è un dono, ma si dice che ci sia tanto allenamento dietro, ti chiediamo quindi: Chiunque può disegnare?

Io mi sono fatto l’idea che i veri doni siano la determinazione e la costanza nel mettersi al tavolo da disegno 4, 5 ore minimo al giorno, tutti i giorni a disegnare e studiare. È ovvio che concorrono fattori come il gusto estetico, l’intuizione e il problem solving, ma prima viene la determinazione. Ci sono persone che sono da subito naturalmente brave, per carità. Spesso, però, questi sono i di-segnatori che da giovani si adagiano sugli allori e si fanno superare dagli altri, meno bravi ma più tenaci (e a quel punto sono costretti a tirare fuori a loro volta la giusta determinazione). Per cui direi che, no, non tutti possono disegnare. Solo chi ha la volontà di impararlo può farcela.  

R: Che numero primo pensi ti possa rappresentare e perché?

Il 101. Tutti i miei amici sanno della mia capacità di saper dire istantaneamente qualunque parola o frase al contrario. So che esistono i numeri palindromi e che i matematici fanno a gara per tro-vare i numeri primi palindromi più alti. Uno dei più alti è stato scoperto da Serge Batalov, conta 474.501 cifre e per questo va espresso come 10474500 + 999 • 10237249 + 1. Direi lui.  

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